venerdì 28 dicembre 2007

l'ultimo giorno di lavoro

Ecco, è arrivato il momento. L'ultimo giorno di lavoro.

Oggi sono arrivato in casa editrice con la tranquillità del prepensionato, la flemma del nonno che è vicino alla fine del militare.

La consuetudine dei soliti gesti - accendi il computer, controlla la posta, accendi i flash e mentre si scaldano dai una pulita al piano da still-life, che ospiterà gli ultimi soggetti da fotografare.

Ci ho messo scrupolo e cura, ho coccolato ogni inquadratura e verificato ogni esposizione, ho messo ancora amore nel mio lavoro, goduto nel sentire la materia di quel che fotografavo, nel rendere giustizia ad oggetti non belli, accarezzarli con la luce, sicuro nei movimenti, movimenti che in un anno e mezzo ho ripetuto tutti i giorni, limandoli ed eliminando il superfluo. Come un pescatore che ripara le reti a fine giornata. Solo i gesti essenziali. Non è frenetico il mio lavoro, se si vuole. E' artigianale, è bello.

E dopo un anno e mezzo, intervallato dai saluti dei colleghi, tutti ancora saturi dal Natale appena trascorso, è passato anche l'ultimo giorno di lavoro, un giorno di sole invernale, un giorno in cui non ci credi che poi cambierà tutto, in cui gli altri ti dicono: "Beato te!" e tu hai paura perché stai per abbandonare le certezze che ti hanno dato da vivere fin lì. Si, beato io, vero, ma non mi sento come quello che rompe le catene perché è un ribelle. Non mi sento ribelle, ecco. E' molto difficile anche restare, continuare a lavorare sempre allo stesso computer, alle stesse pagine, lottare con umiltà per produrre qualcosa di buono. Ogni santo giorno.

Oggi ho amato i miei colleghi, non mi sono commosso nei saluti, ma nel vedere, al mio arrivo, le teste chine sulle tastiere, nel sentire i brevi scambi di informazioni su borderò e impaginati.

Come se tutti insieme fossero un solo amico, che non si spertica in dichiarazioni teatrali, ma c'è e ti da sicurezza. Grazie a tutti.

DAG