giovedì 28 febbraio 2008

La cittadina di Hoi An

A metà del laborioso Vietnam si trova Hoi An, una cittadina molto, molto bella. Hoi An si affaccia sul fiume, un fiume color marron-giallo, dall'odore marron-giallo anche lui. Si, l'evoluzione del sistema fognario deve ancora muovere qualche passo.
Ma non è per l'igiene che giudicheremo una città qui nel sud est dell'Asia, anche perché le strade sono pulite e non ho visto correre i toponi che allegri spadroneggiavano nelle vie di Hanoi.
Le case ad Hoi An sono basse, al massimo due piani, e hanno tanti colori. La struttura di norma è in muratura con portico in teak, ma molte abitazioni sono ancora interamente costruite in teak, con stipiti e finestre intagliati, resi scuri dal tempo e lucidati da cerature su cerature, come usano fare qui. Appena dentro ad ogni casa, di fianco alle ciabattine dei membri della famiglia che si trovano nell'abitazione, è posto un altare in legno, generalmente dipinto di rosso, che ospita due figure: un buddha vestito e di corporatura normale, di buon auspicio per la salute della famiglia, e un buddha grasso, sorridente, con i lobi delle orecchie che arrivano alle spalle e coperto da pochi panni. Questo è il buddha della ricchezza. I vietnamiti tengono molto alla ricchezza e buona parte della loro giornata (se non la totalità) è dedicata al lavoro e alla ricerca della fortuna. Proseguendo verso il fondo della casa incontriamo un locale ricavato nel centro della sala. Questo locale, senza finestre, è il luogo dove la famiglia si riunisce quando non sta fuori. Generalmente giocano a carte seduti per terra. Di fronte si trova la scala che sale al piano di sopra, ovvero alle camere da letto. Siamo però in una casa di gente benestante, le case ad Hanoi sono spesso più strette di un box e l'intera famiglia dorme insieme nel retro di quello che, per forza di cose, durante il giorno diventa uno spazio pubblico.
Il letto, qui in Vietnam, è una vera chicca. Immaginiamo un tavolo, alzato da terra circa quaranta centimetri, su cui sono adagiate alcune stuoie, generalmente in vimini e intrecciate a mano. Le doghe sono molto vicine fra loro e sono rigide. I membri della famiglia dormono qui. Negli alberghi i letti non hanno alcun sistema di molle o doghe flessibili, solo il materasso dà la morbidezza necessaria a stare un po' comodi. Ci si dorme davvero bene. Dietro alla casa di solito si apre un cortiletto, adibito a cucina, lavanderia, piccolo deposito, luogo in cui stendere i panni. I vietnamiti hano una vera passione per le piante in vaso, gli acquari coi pesci e gli uccelli in gabbia: le gabbie sono spesso in vimini intrecciato e ospitano merli indiani (mai addestrati a dire nulla, per fortuna, ma in grado di produrre i suoni più strani e fortissimi) e i vasi farebbero invidia alle casalinghe di mezzo mondo: ceramiche cinesi in cui crescono, avvinghiate ad un sasso, piante nodose e contorte, dall'immagine molto forte ed aggraziata allo stesso tempo; oppure vasetti sospesi, fissati ai balconi col fil di ferro, che ospitano orchidee di una bellezza stupefacente, spesso di enormi dimensioni.
L'ultimo giorno della permanenza mia e degli altri due amici italiani ad Hoi An siamo riusciti a trovare, in fondo ad un vicolo stretto e lungo, un ristorantino con un pergolato e fiori ovunque, lontano dal passaggio di turisti e motorini, in mezzo ad altri cortili pieni di panni stesi. Ad un certo punto, per la prima volta da che eravamo in Vietnam, è spuntato il sole. Il sole!!!
Il luogo si è trasformato, l'umore di noi tre di colpo è migliorato e i lenzuoli stesi ad asciugare hanno sparso per l'aria il nobile e fresco profumo dei panni stesi. A me è venuto in mente che proprio quando si stanno per lasciare i posti si scopre il loro lato migliore...
Non c'è stato tempo per pensare troppo, perché la donnina del ristorante ci ha portato i piatti dei menù che aveva preparato per noi: zuppe di gamberetti, wanton aperti con cavolo rosso (no, non stinge e quindi si può mangiare), cào lào, una specialità fatta di pasta, bocconcini di maiale e foglie di menta fresca, il tutto buonissimo! I gamberetti, soprattutto, erano speciali, oltre che per essere cotti alla perfezione, per le dimensioni e il sapore, che ci hanno stupito.
Scusi, che buoni questi gamberetti, ma da dove vengono? Chiediamo alla donnina.
E lei, con un sorrisone: "Rìver!"

lunedì 25 febbraio 2008

hi spêd intẻnet

ho decío di scrivể quéto pót, che sẩ` breve, cói` come viene scritto dal "computẻ" a cui mi trovo ỏa. Il trappolotto, di chỉâ fabbricazione cinế, ha evidentemente impótati i cẩttẻi della tátỉea vietnamiti, e non c`e` véo di cambỉaglieli. Devo dỉe che mi sembra un mỉacolo il solo fatto di ríucỉe a raggiungể intẻnet, víto che qui la connessione e` a velocita` ỉnfradito, come gli abitanti del villaggetto in cui mi trovo. Stảea alle sei ho il night bú che mi porta a mille km da qui, viaggiando tutta la notte. Ho decío di prendể un autobú come quelli che prendono lổ, i locali, pẻ non fảmi mancảe prỏpio nulla, víto che anche i miei compagni di viaggio sono pảtiti e stanno andando véo la thailandia. Da oggi quindi procedo da solo, di nuovo. Sẻmpe che io ríeca a staccảe le dỉta dalla tátỉea su cui sto scrivendo e che non rimanga attaccato qui pẻ sẻmpe. I polpảtelli ỏa scivolano ỏa si inceppano sui táti di quéto maleodỏante strumento, divenuto appiccicôso fóe pẻ le tante colazioni a báe di zuppa che i locali amano cónumảe mẻntre sono a computẻ.
Di fianco a me, precảiamente zancato nel mủo, si trova il router. Uno scatolozzo in plática grosso come un mỉcrônde che puzza di scaldato elẻttico in un modo inquietante. L`ìnfẻrnale aggeggio vomita cavi elẻttici malamente avvolti nello scotch marrone, con pảecchi fili scopẻti. Cẻco di non spỏgể troppo il gomito vérso il router.
A quéto punto credo di non dovẻ dảe spiegazioni a chi mi dice che metto poche foto sul blog. Figủatevi che da qui io il blog non ríeco neppủe a vedẻlo, pẻche` la pagina non si ảpe. Ríeco a scrivẻci ma pasando pẻ vie travếrse.
Pẻ víualizzảe una mail di solo tésto ci vogliono alcuni minuti. Adédso devo andảe, non pẻche~ abbia finito le cóe da dỉe ma pẻche` la donnina sta lavando pẻ tera e mi ha detto di andảe via dal computẻ, che lei deve pulỉe.
Ci tengono all`igiene, qui...
So che sembro un ritảdato da come scrivo ma vi giủo che e` un ềffetto del computẻ.
ciao.

domenica 24 febbraio 2008

Una nazione in mano ai ragazzi

La fine del Tèt, il capodanno cinese, avviene quasi di colpo ad Hanoi. Dopo circa una settimana di negozi chiusi ed atmosfera sonnecchiante mi sveglio un bel giorno e, uscito un mattino dalla mia sontuosa sistemazione (vedi "La stanza del matto" in un post precedente) stento a riconoscere la strada in cui si trova la mia guesthouse. Capannelli di gente che confabula intorno ai banchetti di cornici, nugoli di motorini che sfrecciano in ogni direzione suonando il clacson a tutta manetta per avvisare tutti del proprio arrivo, marciapiedi invasi di merce di tutti i colori, banchettini improvvisati con seggioline piccolissime su cui siedono vecchietti gracili gracili che fumano o parlano o mangiano zuppa. Bambini che vanno a scuola richiamati dal ritmo di un tamburo enorme che fa le veci della nostra campanella. La scuola inizia alle sette del mattino. Il tamburo si sente distintamente dalla mia stanza, anche se questa non ha finestre.
Ovunque, per strada, gente. Ragazzi e ragazze gestiscono negozi, trasportano di tutto sui motorini, se non trasportano merce ci si affollano: la media è due-tre persone per scooter, ma sono arrivato a vedere sei ragazzine su un unico mezzo. Uscivano per fare serata. In Vietnam l'età media della popolazione è al di sotto dei trentacinque anni. Una nazione in mano ai ragazzi. E si sente. L'atmosfera è quantomeno viva, piena di gioia e anche se ogni tanto capita di arrabbiarsi perché cercano di fregarti sui soldi, è una rabbia che passa presto. Gli anziani ci sono, hanno queste facce piene di rughe, questi occhi vispi, queste schiene curve che li fanno sembrare ancora più piccini, ti passano accanto, ti guardano sorridendo, chissà cosa pensano, e vanno via, sdentati, coi loro piedi di tartaruga nelle ciabattine da doccia. Chissà dove abitano, chissà cosa hanno visto, chissà se gli piace che adesso, dopo tanti anni di chiusura, il paese abbia aperto le frontiere al turismo, a tutti questi individui strani.
Un popolo che ha combattuto una guerra lunga mille anni contro i Cinesi, un popolo che ha sconfitto i Giapponesi, poi i Mongoli, poi i Francesi e infine gli Americani.
"We did'nt have the Vietnam War. We had an american war".
Qu la "guerra del Vietnam" non c'è stata. Qui c'è stato, come ultimo episodio, una guerra americana.

DAG