giovedì 27 marzo 2008

I piaceri della carne

Ho scoperto, viaggiando, che una delle cose più interessanti è il cibo. Avevo letto, qualche anno fa, due libri, scritti dallo stesso autore, Antony Bourdain (un cuoco franco-americano) che parlavano della sua scoperta del cibo, e ne ero rimasto affascinato. Nel primo libro L'autore raccontava di come lui fosse rimasto stregato dal cibo e di come avesse capito che voleva fare il cuoco, nel secondo andava in giro per il mondo alla ricerca del cibo perfetto. Non vi dico come va a finire, ma posso anticiparvi che una buona porzione del secondo libro è dedicata al cibo del sud est asiatico. Ma siamo ancora in America, non corriamo.
L'altro pomeriggio sono rimasto a Rapid City da solo, l'amico Austin è dovuto partire per tornare dalle due figlie. Dopo essermi scatenato in internet a controllare email, rispondere a messaggi, verificare i costi dei biglietti aerei futuri, fare due chiacchiere in skype con la mia agente cinese, sono uscito a mangiare qualcosa; ho deciso di andare alla Firehouse, la casa dei pompieri, dove fanno meravigliose bistecche di bisonte e di angus. Se una delle mia decisioni in Asia era stata quella di non mangiare carne e di non bere birra o alcolici, è anche vero che avevo deciso che mi sarei sfogato con le bistecche americane.
In più, alla Firehouse ero già stato una volta con Austin ed era il posto in cui avevo mangiato la miglior bistecca che il mio palato ricordi. Mi accoglie lo stesso ragazzo che ci aveva servito l'altra volta, uno dalla parlata così stretta che al posto delle parole gli esce un ringhio indistinto. Mi accorgo che mentre parla lo guardo strizzando gli occhi e tendendo al massimo le orecchie, per cercare di cogliere almeno il senso di quello che dice. Se ride dopo aver parlato rido anche io, facendo di sì con la testa e dandomi mentalmente dello sfigato.
Bene, mi accoglie lui questa volta, e sono da solo, non c'è l'amico Austin a farmi da interprete. Sono in trappola. Ma mi sorprende lui: intanto appena mi siedo arriva e mi dice : "Hey, ciao Andrea, come stai?"
Ora ditemi voi quanti camerieri si sono ricordati del vostro nome alla seconda volta che entravate in un ristorante.
Abbozziamo due chiacchiere, poi gli accenno al fatto che vorrei una bistecca, che probabilmente sarà l'ultima prima di tornare in Asia, dove non mangio carne, e lui mi dice: "Ah, sì, vuoi quella bistecca lì e la vuoi cotta media e con le patate fritte intorno, non lesse coll'aglio e invece del ketchup ci vuoi la maionese, no?"
Sbalordito faccio sì con la testa.
Era esattamente quello che gli avevo chiesto tre giorni prima.
Questo si chiama avere la testa in quel che si fa! C'è gente in gamba, anche nel fare l'umile mestiere di cameriere. Io che non ricordo il nome di chi mi si è presentato due minuti prima!
Per farmi meglio apprezzare la cena mi indica una finestra da cui si possono vedere le cucine, e vedo come viene cotta la carne.
Su una piastra di acciaio rovente, tenuta costantemente unta con olio, viene sbattuta con violenza una T-bone, una bistecca con l'osso (la nostra fiorentina) e subito viene premuta dalla spatola d'acciaio del cuoco. Lo sfrigolìo della carne che si arrostisce sull'acciaio e libera i suoi primi vapori si fa sentire anche al di là della finestrella coi doppi vetri. Passano pochi secondi, il cuoco, sempre e solo con la spatola, preme la bistecca contro la piastra, producendo altri vapori e scoppiettìi, poi la smuove, girandola in piccoli cerchi per creare lo strato cotto della carne. La superficie della bistecca diventa scura, quasi si screpola, ma non viene mai bucata per mantenere all'interno tutte le qualità ed il gusto, tutti gli elementi che la rendono morbida. Il cuoco gira la bistecca. Stesso festival di profumi, di suoni e di colori che fanno ululare il mio stomaco di piacere anticipato. Altro che sesso, ragazzi, il cibo è molto più potente!
A lato saltellano sulla piastra erba cipollina tagliata a rotelline, condimenti, contorni, mentre faccio in tempo a vedere il riflesso lucido della crosta della mia bistecca fumante che viene tolta dalla piastra e messa nel piatto di ghisa, caldo, con le patate intorno ed un vassoio di legno a tenere il tutto ben caldo per un po'.
Una birra locale a temperatura perfetta ed un coltello speciale attendono la bistecca al mio tavolo.
La lama del coltello urta la parte esterna della carne, resa croccante e profumata dalla rapida cottura, poi rivela il paradiso rosato al suo interno, mentre felice mi dico: "E' solo il primo boccone!"
Questo post è dedicato in particolare a Gualtiero.
DAG

Black Hills

Ritornare nelle Black Hills, nei luoghi cari agli indiani nativi di queste parti, ritrovare i luoghi e le facce che avevo conosciuto all'inizio del mio viaggio è stato bello, più bello di quanto mi aspettassi. Ritrovare l'amico lakota Austin, capelli più lunghi e stessa ironia, mi ha scaldato il cuore e fatto sentire parte di un sistema che sta funzionando. Quando si viaggia per un po' di tempo da soli ad un certo punto viene la paura di sconnettersi dal mondo. Certo, io questo scollamento lo scongiuro mandando mail e scrivendo sul blog (sì, zio, scriverò di più, mi impegno, per lo meno) ma comunque sentirsi richiesti da qualche parte per lavorare è diverso.
E questa volta è speciale, in South Dakota. Questa volta non saremo in due, ma in tre, perché è arrivata, dall'Italia, una figura chiave per tutto questo lavoro che sta venendo fuori, figura che per motivi di riservatezza chiameremo "il Motivatore".
La presenza del Motivatore a me, personalmente, ha dato una dose di energia in più, aiutandomi a mettere a fuoco il fulcro del lavoro che viene fatto qui.
Lo so, dico poco niente, ma non è per fare il misterioso, ma perché tutto il meccanismo che è stato avviato dal Motivatore è un sistema che si svelerà, ad un certo punto, con una forza tutta sua e che coinvolgerà molti luoghi, molte persone e che segnerà un positivo cambiamento in molte persone.
Ma non va svelato prima.
La stessa filosofia lakota è quella di non parlare molto, di spiegare simboli e tradizioni fino al punto necessario, i Lakota preferiscono fingersi ignoranti o sordi o pigri piuttosto che dare spiegazioni se non ritengono opportuno darle, magari perché la persona che chiede di essere informata non è pronta per sapere.
C'è una sorta di procedura iniziatica, che viene valutata passo dopo passo e che fa accedere al livello di conoscenza superiore e di partecipazione in maniera graduale. Ci sono rituali che nessuno ha mai visto. Che nessuno potrebbe e potrà mai fotografare. Ci sono altre cose a cui si può accedere solo dopo un po' di tempo, come il rituale della purificazione nella tenda sacra. Ma quello è stato l'altra volta.
La prossima volta che sarò qui potrebbe essere un ulteriore avvicinamento alla cultura e alle tradizioni lakota, ma non ci sono certezze in merito.
Il Motivatore è rimasto con noi purtroppo solo per l'evento più importante, l'ascesa alla montagna sacra, poi com'è arrivato è ripartito, nel giro di poche ore, e Austin ed io siamo rimasti a fotografare le cose mancanti, a fare i fegatelli, come vengono chiamati nel mondo del cinema le riprese di raccordo tra una scena e l'altra, felici che il tempo fosse bello, questa volta, e non funestato da bufere di neve e temperature polari come in gennaio.
Bisonti, ancora, ma più da vicino e in una località diversa. Siamo stati direttamente a casa del ranger che gestisce direttamente una riserva. L'unico ranger lakota, vittima, in questi posti, di discriminazioni e scherzi di stampo razzista. Austin e lui si sono scambiati qualche frase, poi lui ci ha detto di seguirlo. "Se devi fare le foto ai bisonti come tutti gli altri, non vale nemmeno la pena che tu le faccia. Vuoi vederli davvero?" Mi ha chiesto. "Yes!"
E con il fuoristrada della contea siamo entrati direttamente nel territorio dei bisonti, avvicinandoci quanto più possibile, spegnendo il motore e stando lì, finestrini aperti, rumore del vento e sbuffi degli animali.
"Puoi scendere, se vuoi..."
Ok, scendo lentamente dal predello del fuoristrada, mi accuccio per inquadrare, tenendo d'occhio il gruppo di bestioni che intanto avevano lentamente circondato la macchina. Ho di fronte un bull, un toro di dodici anni. La sua barba è talmente lunga che rasenta l'erba, il suo testone, armato di corna larghe quanto un mio polpaccio, sembra pesare un terzo dell'animale stesso. Vedo distintamente le mosche che si posano sul suo naso, sento ogni suo sbuffo. Tra me e l'animale c'è solo un po' di vento. Ci guardiamo.
Si, lo so che vi aspettate qualcosa di improvviso, adesso. Con conseguente gesto eroico da parte mia.
No.
Il bisonte, forse stufo di tute le mosche che lo stavano angustiando, forse stanco di stare in piedi (ma dubito) si è semplicemente lasciato andare su un fianco, buttandosi per terra con un tonfo e sollevando una nuvola di polvere, cominciando a scalciare per aria per grattarsi la schiena e rimanendo con le zampe all'insù, ricordandomi la minni, la mia gatta, quando vuole farsi grattare la pancia. Non proprio la stessa cosa, ma tenero, dai.
DAG

martedì 25 marzo 2008

Ho fatto un giro...

Tutto Asia, Asia, caldo, zuppe, tè verde, tuc tuc, motorini, elefantini, pagode e mercatini e poi patapamfete!
Bus che parte dalla scalcagnata Phnom Penh, arriva al confine con la Thailandia, arriva a Bangkok, zuppa veloce tanto per non farmi mancare nulla, tappa a Tokyo, un altro decollo e mi ritrovo in America.
Ho completato il giro! Il mio primo giro del mondo.
Il mio viaggio era iniziato a gennaio, una delle tappe fondamentali è stata Rapid City, nel vasto South Dakota, e proprio a Rapid City mi trovo ora, ma ci sono arrivato dalla parte del Pacifico.
Devo dire che fa una certa impressione. Intanto uno si dice:"Bhè? Già fatto? Siamo davvero su una pallina, altro che un pianeta!" E poi, personalmente, l'altra cosa che mi è venuto spontaneo dire è stata: "Cazzo nevica!"
Eh sì, perché a Minneapolis, primo scalo in territorio statunitense, il comandante ha annunciato con candore che una spruzzatina di neve aveva imbiancato l'aeroporto nella mattinata.
Ho guardato i miei piedi, felici ed ignari nelle infradito. E' un mese che non metto un paio di scarpe.
All'immigration il poliziotto mi fa un sacco di domande. "Motivo del viaggio?" - "Turismo" - "Da dove arrivi?" - "Thailandia" - "E prima? - "Cambogia" - "E prima?" - "Sto viaggiando molto" - gli dico per tagliare corto. Non è felice. "Ma come mai vieni proprio qui da laggiù?" - "Turismoooo! Dài che ciò freddo!" - "Sicuro che non è per lavoro?" - "Ma no!" Mento con la faccia di quello che non capisce perché si accaniscano con lui.
"E cosa c'è da vedere in South Dakota di così importante da venire dall'Asia apposta?"
E qui è cascato l'asino. Il poliziotto in questione era un putto biondo coi capelli rasati dietro, da marine, un po' cicciotto, americano dalla testa ai piedi, allevato a stelle e strisce sin da bambino, senza dubbi aggiunti.
"Mount Rushmore!" gli dico con un sorriso ampio e partecipe.
"Yeah, man!" Mi sorride convinto, improvvisamente mio amico. Il monumento al patriottismo americano per eccellenza, i faccioni dei presidenti scolpiti nel fianco della montagna (vedi post più indietro, non mi ricordo quale, dài).
Passo con la sua benedizione e il suo augurio di divertirmi.

domenica 23 marzo 2008

Regole molto precise

Phnom Penh ha significato anche un nuovo incontro con Warren, di cui avevo scritto qualche tempo fa, Warren che vive in Cambogia da sette anni, che vive da expat, come vengono chiamati qui "gli americani che espatriano", che ha affittato una casa e che impiega tutta la sua giornata a scrivere, leggere, curare la rendita che gli dà da vivere. E' meticoloso, Warren, lo è fino al centesimo. Warren ha una fidanzata, una fidanzata khmer che vive con lui da sette anni, Srey Pel, trentun anni, trentotto chili. Quando Warren è in viaggio, se lei non è con lui, lei non ha il diritto di stare in casa, e torna dalla famiglia, che vive nello slum, la baraccopoli intorno alla città. Questo perché non è salutare che lei abbia a disposizione una casa per sé.
Regole molto precise scandiscono la loro vita coniugale, Warren si occupa anche di farle rispettare. Srey Pel ha diritto ad avere due coca cole al giorno. Va matta per la coca cola, e la cassa che Warren compra mensilmente è lì, in cucina. Lei ha accesso alle coca cole, ma se ne beve più di due al giorno poi fino al mese dopo non ce ne sono più. Srey Pel cucina a mezzogiorno, Warren la sera. Warren fa la spesa, Srey Pel lava i piatti. Escono tre volte la settimana, al massimo. Le altre sere stanno in casa. Devono tornare entro l'una di notte. Ogni giorno Srey Pel fa due massaggi di un'ora ciascuno a Warren, dopo pranzo e dopo cena. Se tornano dopo l'una di notte per ogni quarto d'ora di ritardo Warren riceve, la sera, cinque minuti di massaggio in meno.
Questa volta Warren è stato via tre mesi, e c'è stato un problema: Srey Pel è tornata a far uso di droga, nello specifico il crack, lo "yama", come lo chiamano qui. Ha perso sette chili, Warren dice ridendo che dorme con uno scheletro. Warren le aveva dato i soldi per telefonargli ogni sera, e durante la telefonata lei doveva recitare il Sacha, la preghiera al Buddha. Lei ha mentito al Buddha, perché ha fumato di nuovo lo yama. Adesso Srey Pel non riceve più il suo dollaro quotidiano e Warren ha accettato di riprenderla in casa purché si rasasse i capelli a zero, come una monaca. Warren sa che rasarsi la testa è un gesto che significa profonda penitenza per i buddhisti. Lei non uscirà di casa per cinque mesi. Non ne avrà il coraggio, e questo la terrà lontana dalle droghe quantomeno il tempo per disintossicarsi, ma solo fisicamente.
Sembra una vita assurda, con delle regole da campo di prigionia. Ma vi assicuro che li ho visti insieme, in casa, in questi giorni, e si amano. Queste regole sono salutari, anche se sono molto lontane dalla nostra logica.. Srey Pel è una persona acuta, pungente e combattiva, irriverente e anche simpatica nel suo inglese stentato.

DAG