giovedì 27 marzo 2008

Black Hills

Ritornare nelle Black Hills, nei luoghi cari agli indiani nativi di queste parti, ritrovare i luoghi e le facce che avevo conosciuto all'inizio del mio viaggio è stato bello, più bello di quanto mi aspettassi. Ritrovare l'amico lakota Austin, capelli più lunghi e stessa ironia, mi ha scaldato il cuore e fatto sentire parte di un sistema che sta funzionando. Quando si viaggia per un po' di tempo da soli ad un certo punto viene la paura di sconnettersi dal mondo. Certo, io questo scollamento lo scongiuro mandando mail e scrivendo sul blog (sì, zio, scriverò di più, mi impegno, per lo meno) ma comunque sentirsi richiesti da qualche parte per lavorare è diverso.
E questa volta è speciale, in South Dakota. Questa volta non saremo in due, ma in tre, perché è arrivata, dall'Italia, una figura chiave per tutto questo lavoro che sta venendo fuori, figura che per motivi di riservatezza chiameremo "il Motivatore".
La presenza del Motivatore a me, personalmente, ha dato una dose di energia in più, aiutandomi a mettere a fuoco il fulcro del lavoro che viene fatto qui.
Lo so, dico poco niente, ma non è per fare il misterioso, ma perché tutto il meccanismo che è stato avviato dal Motivatore è un sistema che si svelerà, ad un certo punto, con una forza tutta sua e che coinvolgerà molti luoghi, molte persone e che segnerà un positivo cambiamento in molte persone.
Ma non va svelato prima.
La stessa filosofia lakota è quella di non parlare molto, di spiegare simboli e tradizioni fino al punto necessario, i Lakota preferiscono fingersi ignoranti o sordi o pigri piuttosto che dare spiegazioni se non ritengono opportuno darle, magari perché la persona che chiede di essere informata non è pronta per sapere.
C'è una sorta di procedura iniziatica, che viene valutata passo dopo passo e che fa accedere al livello di conoscenza superiore e di partecipazione in maniera graduale. Ci sono rituali che nessuno ha mai visto. Che nessuno potrebbe e potrà mai fotografare. Ci sono altre cose a cui si può accedere solo dopo un po' di tempo, come il rituale della purificazione nella tenda sacra. Ma quello è stato l'altra volta.
La prossima volta che sarò qui potrebbe essere un ulteriore avvicinamento alla cultura e alle tradizioni lakota, ma non ci sono certezze in merito.
Il Motivatore è rimasto con noi purtroppo solo per l'evento più importante, l'ascesa alla montagna sacra, poi com'è arrivato è ripartito, nel giro di poche ore, e Austin ed io siamo rimasti a fotografare le cose mancanti, a fare i fegatelli, come vengono chiamati nel mondo del cinema le riprese di raccordo tra una scena e l'altra, felici che il tempo fosse bello, questa volta, e non funestato da bufere di neve e temperature polari come in gennaio.
Bisonti, ancora, ma più da vicino e in una località diversa. Siamo stati direttamente a casa del ranger che gestisce direttamente una riserva. L'unico ranger lakota, vittima, in questi posti, di discriminazioni e scherzi di stampo razzista. Austin e lui si sono scambiati qualche frase, poi lui ci ha detto di seguirlo. "Se devi fare le foto ai bisonti come tutti gli altri, non vale nemmeno la pena che tu le faccia. Vuoi vederli davvero?" Mi ha chiesto. "Yes!"
E con il fuoristrada della contea siamo entrati direttamente nel territorio dei bisonti, avvicinandoci quanto più possibile, spegnendo il motore e stando lì, finestrini aperti, rumore del vento e sbuffi degli animali.
"Puoi scendere, se vuoi..."
Ok, scendo lentamente dal predello del fuoristrada, mi accuccio per inquadrare, tenendo d'occhio il gruppo di bestioni che intanto avevano lentamente circondato la macchina. Ho di fronte un bull, un toro di dodici anni. La sua barba è talmente lunga che rasenta l'erba, il suo testone, armato di corna larghe quanto un mio polpaccio, sembra pesare un terzo dell'animale stesso. Vedo distintamente le mosche che si posano sul suo naso, sento ogni suo sbuffo. Tra me e l'animale c'è solo un po' di vento. Ci guardiamo.
Si, lo so che vi aspettate qualcosa di improvviso, adesso. Con conseguente gesto eroico da parte mia.
No.
Il bisonte, forse stufo di tute le mosche che lo stavano angustiando, forse stanco di stare in piedi (ma dubito) si è semplicemente lasciato andare su un fianco, buttandosi per terra con un tonfo e sollevando una nuvola di polvere, cominciando a scalciare per aria per grattarsi la schiena e rimanendo con le zampe all'insù, ricordandomi la minni, la mia gatta, quando vuole farsi grattare la pancia. Non proprio la stessa cosa, ma tenero, dai.
DAG

1 commento:

Anonimo ha detto...

chissà come si sente la Minni ad essere ricordata a causa di un bisonte...