Avevamo pianificato, per la giornata di ieri, la visita ad alcuni luoghi di lutto per la cultura Lakota, tra questi Wounded Knee, il luogo del massacro in cui persero la vita più di trecento fra uomini, donne e bambini della tribù Lakota, massacro pianificato ed eseguito dall'esercito americano. Dopo aver visitato questi luoghi siamo tornati in albergo, a dire il vero abbastanza mesti anche noi, un po' per il tema della giornata, un po' per il tempo, che andava peggiorando, con neve ad intermittenza.
"Andiamo a letto presto, così domattina partiamo prima dell'alba e vediamo il sole sorgere dalla cima di Bear Butte", altra collina sacra.
Ero al computer quando, verso le sette e mezza (orario in cui volevo andare a dormire) suona il telefono della mia stanza.
"Ce l'hai un costume da bagno?" Era Austin, il mio amico-guida. "Si, perché?"
"Se vuoi possiamo andare ad un Inipi, ho saputo che alcuni amici hanno preparato la cerimonia per stasera"
L'inipi è la tenda in cui gli indiani d'America celebrano le loro cerimonie e recitano le loro preghiere, sotto la guida dello sciamano.
"Si, andiamo". Nessuna esitazione.
Intorno al falò si sono già radunati alcuni membri della tribù, e quando ci uniamo a loro questi ci salutano stringendoci la mano. "Hau", rispondiamo. Poche le parole scambiate, anche per via del freddo, ognuno pensa a tendere le mani verso verso la pira che, bruciando, scalda le pietre rituali.
"Lo fate anche voi, in Italia, questo?" mi chiede un vecchio dai capelli lunghi, in piedi di fianco a me.
"Certo... certo, magari non tutti i giorni, ma lo facciamo" Gli rispondo con un sorriso.
Dietro di noi, nel cortile di legno dal suolo innevato e gelato, sta l'Inipi, la tenda rituale. E' scura, bassa e circolare, a forma di igloo. Mi accorgo che qualcuno ha posizionato, davanti all'entrata, un teschio di bufalo, corna di cervo e un'ascia rituale. C'è una atmosfera di attesa, alcuni respirano profondamente, qualcuno rutta. Alimentiamo il fuoco, sempre di più, adesso fa veramente freddo, ci saranno venti gradi sotto zero, appena ci si allontana dal fuoco il vento ti taglia le guance e la neve (a queste temperature ridotta a sottili cristalli di ghiaccio) ha l'effetto di spilli che non danno pace. E' buio.
Ad un segnale convenuto, tutti cominciano ad allontanarsi dal fuoco, vanno di fianco alla tenda e si tolgono i giacconi, i cappelli. Io guardo Austin, senza capire. E' già a torso nudo mentre mi dice: "I vestiti li puoi lasciare su quella panchina, non c'è da temere".
"COSA???"
"Si, le calze mettile pure dentro le scarpe" è stata la sua risposta.
Non ho scelta.
Sono nudo, in costume da bagno, esposto ad una tormenta di neve a meno venti, con i piedi nudi sulla poca neve che copre la terra gelata, in piena notte. Sembra l'inizio del film "Trecento", solo che me lo sto vivendo sulla mia pelle, ammesso che ne abbia ancora una e non si sia trasformata in vetro.
Batto i denti, le ginocchia picchiano l'una contro l'altra senza controllo, ad uno ad uno entriamo nella tenda, dicendo la formula rituale: Mitakuye Oyasin, siamo tutti fratelli.
Mi siedo in terra, aiuto il vecchio irrigidito a sedersi di fianco a me, poi vengono portate le pietre roventi, color arancione, nella tenda, e il freddo comincia a diminuire, anche se tutti tremiamo ancora. Tutti tranne i vecchi, che sembrano insensibili al freddo.
Chiudono la tenda, le pietre incandescenti son l'unico riferimento visibile. Il sacerdote, dopo alcune formule rituali, butta acqua sulle pietre, la tenda si riempie di vapore.
Incomincia il sermone, metà in inglese metà in Lakota, intervallato da frequenti "Mitakuye Oyasin", siamo tutti fratelli.
Ad ognuno viene richiesto di pregare, ascolto le preghiere degli altri, quasi tutti si esprimono in inglese, pregano per i loro parenti, perché superino i momenti di difficoltà o trovino la forza per smettere con la droga o con l'alcool.
Qualcosa mi tocca ripetutamente un piede, ma non capisco cosa sia. Siamo seduti per terra, ma a queste temperature non ci sono insetti, poi è qualcosa di strano. Viene da me. E' il mio sudore che, gocciolando dal gomito, va a finire sul piede. Sono bagnato fradicio, sto gocciolando.
"E adesso vorrei chiedere anche a chi è venuto da lontano di esprimere la propria preghiera" dice lo sciamano.
E così anche io ho pregato, ad alta voce, ho pregato per la salute della mia famiglia e delle persone care, ho pregato perché la bellezza di questa terra arrivi al cuore di chi viene qui e per chi ha fatto in modo che io scoprissi questi territori e questa gente.
Un coro di "Hau" mi ha fatto capire che il gruppo approvava.
Mitakuye Oyasin.
DAG