mercoledì 5 marzo 2008

Tutti a Fangulào!

Chi arriva a Saigon dovrebbe come prima cosa andare a Fangulào. Io ci sono stato, anzi mi ci trovo tutt'ora ed è bello, pieno di gente (evidentemente gente che è stata mandata qui da altri, amici o conoscenti), e ci sono un bel po' di persone, nella cerchia dei miei affetti, cui consiglio caldamente di andare a Fangulào. Fangulào, letteralmente Phanm Gu Lào, è il quartiere centrale di Saigon ed è il centro del centro della vita urbana vietnamita. Siete stati a Kao San Road, nella ormai collaudata Bangkok? Bene, questo quartiere la supera per affollamento, suoni, rumori, frequenza di guesthouses e camere in affitto, xiclò (la versione viet del ricsciò) e mototaxi che ti battono le mani in continuazione per proporti di fare un giro turistico con loro.
In questo quartiere la vita si svolge a più strati e su più livelli a seconda della distanza dalla strada principale. Seguitemi in una passeggiata per il quartiere. Sul fronte strada troviamo i motorini, elemento costante in Vietnam in quanto mezzo di trasporto per eccellenza (quasi non ci sono automobili). Qui il motorino è un susseguirsi di ruote a contatto con altre ruote, dobbiamo percorrere lunghi tratti ciabattando in mezzo alla strada perché non riusciamo ad infilarci tra un mezzo e l'altro. Sul motorino si aspetta, si fuma, si mangia, si dorme (i vietnamiti riescono a dormire ovunque) ci si fidanza e si trasporta di tutto. Ho visto portare (metterò la foto) assi di legno di un metro per due, televisori, grondaie, poltrone ed enormi lastre di vetro tenute dal passeggero a braccia larghe nel traffico anarchico della città. Nuotare nella vasca degli squali sarebbe meno pericoloso.
Saliamo finalmente sul marciapiede, intrufolandoci tra uno specchietto e l'altro, cercando di non causare un effetto domino che sarebbe sicuramente devastante.
I banchini del mangiare. La versione asiatica del ristorante arriva al minimalismo più estremo: banchini e sgabellini di plastica colorata a dimensione asilo in mezzo al marciapiede, un fornello collegato ad una bombola e la signora che fa da mangiare per tutti. Sediamoci a mangiare qualcosa. C'è scelta? No. Al massimo con o senza carne. Rapidamente ci troviamo di fronte un piatto principale con riso a fare da base e due o tre ciotole di contorno. Ah, come le adoro, le ciotole! Alcuni di voi lo sanno e mi prendono in giro, ma qui io, per via delle ciotole, ho trovato la mia dimensione! Sul riso c'è cavolo, cipolla soffritta e tofu. Nelle ciotole c'è una zuppa fumante con erba cipollina, lemongrass (un'erba lunga che profuma di limone) e zucca a pezzi oppure verdure a foglia verde bollite e in un'altra ciotola c'è il curry di bovino o di pollo. Poi ci vengono date ciotole più piccole con il condimento: salsa di soia in cui galleggiano allegri peperoncini, alcuni a pezzi, altri interi. Si beve il tè, o birra. Verso fine pasto ad ognuno viene precipitata una banana di fianco al piatto: la si taglia a fette col cucchiaio (nessuno si sognerebbe di mettere coltelli in giro per strada, questa è gente che si infiamma facilmente) e la si mescola al riso. E' il dolce. Non c'è distinzione di posto, o tavolo separato: mangiamo gomito a gomito con i vietnamiti, e anche questa è un'esperienza nuova: i commensali parlano fra loro come se si conoscessero tutti! chiacchierano! A Milano, nei posti in cui si mangia, succede molto di rado. Tutti felici che stiamo mangiando al loro tavolo, alzano il pollice e fanno gran sorrisoni sdentati, chi parla inglese si fa avanti e dà fondo alle sue conoscenze linguistiche. Di solito arrivandoci molto presto. Paghiamo il conto. Seimila Dòng, ovvero 27 centesimi di euro. Sì, avete capito bene.
Dietro la fila di banchini stanno i negozietti officina, che riparano o accumulano di tutto, affiancati dai locali per stranieri diffidenti: ambientazioni in finto bambù con camerieri che cercano di portar clienti al locale. Su invito non entro mai, è una mia regola. Ogni tanto, fra un negozio ed un locale, si apre un vicolo, stretto, buio, che si inoltra nel block, fra le case. E' abbastanza inquietante entrare qui, ma ci andiamo lo stesso. I muri sono dipinti di verde, generalmente, non so perché, e sulla stradicciola tipo casbah si affaccia la vita privata di ogni casa, un po' lontana dal chiasso della strada, donnine e anziani in pigiama da mane a sera stanno seduti per terra, guardano la televisione, dormono (in un modo che all'inizio mi faceva spaventare) con la faccia sulle piastrelle, buttati là che paion morti. Dentro ogni salotto tre costanti: la televisione accesa, l'altarino dei buddha con le lucine rosse, e un motorino parcheggiato. In casa.
E sopra? Ai piani di sopra stanno altre stanze da letto, in alcuni casi le stanze destinate ad usi più pruriginosi, che fanno capo a tutte quelle attività che qui rientrano nel grande businnes del "massage".
Sui terrazzi si lava, si stende e si chiacchera fra donne, come riesco a testimoniare dalla mia camera in affitto, una versione locale della cella di Hannibal Lecter, tutta piastrellata di bianco, pavimento incuso, e col lavandino attaccato ad una parete a caso, di fianco al letto.
E sotto la strada? Tanti, ma tanti amici di Geronimo Stilton! (detta così fa più simpatia, no?)