venerdì 18 gennaio 2008

Tatanka!

Austin sarà la mia guida qui per questi giorni di lavoro. Non lo avevo mai visto, neppure in fotografia, ma all'aeroporto non ho avuto nessuna esitazione. Capelli neri con qualche filo grigio raccolti in un codino basso, naso all'ingiù, espressione fiera, molto seria, ma che si è aperta subito in un sorriso quando ha visto che lo guardavo con aria interrogativa. Ci siamo abbracciati. "Hau, kola", ciao amico, mi era stato detto di salutarlo così. Abbiamo iniziato subito a parlare, a pianificare l'itinerario di questi giorni attraverso i territori Lakota e le tradizioni, i luoghi sacri e i personaggi che hanno avuto un ruolo nella storia di questo popolo, che si divide in sette tribù, che subisce pressioni da parte del governo americano, che non riesce a ritrovare una propria unità sotto un unico leader carismatico.

Poi, a cena, siamo finiti a parlare del lavoro, delle nostre vite personali, e, ovviamente, di donne.

Every world is a village, ogni mondo è paese...

E io? che potevo fare se non mettere gli animali al primo posto nelle tappe della mia visita qui? Noleggiata una buona quattroruote siamo andati subito nel Custer State Park, il la distesa di colline che, in tutte le Black Hills, ospita il maggior numero di animali selvatici.

"Guarda, guarda là!" "Cos'è?" "Bison! Buffalo!" Un gruppo di bisonti. Su un prato.

Non ci si può avvicinare ai bisonti, sono troppo pericolosi e imprevedibili, e un esemplare sano corre veloce quanto un cavallo, anche se pesa tre volte tanto. E poi i rangers, se ti vedono, ti fanno un culo così, senza troppi complimenti. Meglio non scendere dall'auto quando c'è un bisonte in vista.

Rapido scambio di sguardi. Ragazzi, sono in macchina con un pellerossa, uno che è cresciuto in questi posti, cosa volete che faccia?

Avete capito.

La folle corsa a rotta di collo giù per la collina, in mezzo ai sassi che rotolavano sotto i piedi e il timore di cadere e rovinare la macchina fotografica ci ha fatto tornare alla macchina ansimanti e col fiatone, ma felici, almeno per me, per le immagini riprese. Sì, da vicino, qualche metro. Poi il rumore di un'auto che si avvicinava ci ha fatto fuggire. Noi. I bisonti, placidi come mucche. Madonna quanto puzzano i bisonti!


DAG

giovedì 17 gennaio 2008

Pace fatta?

Dài, pace fatta! Come con le persone, non mi piace mantenere il rancore neppure con le situazioni e quindi ho deciso che ho fatto la pace con Montreal. Complici due giornate di sole e un incredibile situazione metereologica.

C'erano cinque gradi sotto zero, ma sembravano sei sopra! L'aria asciutta non fa entrare il freddo nelle ossa, basta un maglione sotto la giacca e puoi andare in giro tranquillamente. Ha un che di sano. Sana è anche l'aria che si respira, così limpida e pulita (nei giorni precedenti o neve o pioggia o nuvolo) e tanto trasparente da far passare i raggi del sole, che picchiano caldi sulla mia guancia, mentre cammino goffamente coi miei stivali termici appena presi (temperatura di confort: -25!)

Preferisco dire che sono stato sfortunato io con il tempo e che mi ero fatto delle aspettative enormi (poi deluse) piuttosto che condannare un'intera città. Pace con Montreal, ha i suoi lati belli. E poi in luglio ci devo tornare, e ne riparliamo. Ecco, rimandata, non bocciata.


Tre aerei, dieci ore tra voli e attese, e mi ritrovo a Rapid City, in South Dakota, dove comincia il lavoro, principale motivo  di questo trasferimento nel continente nordamericano. Ho incontrato la persona che mi farà da guida in questi giorni e che mi spiegherà tutto di questi posti, ma di lui dirò in seguito, perché è un personaggio.

Fuori dalla camera del mio albergo (sta albeggiando) le strade sono bianche di brina, ci sono quattordici gradi sotto zero, poco distante vedo le colline che danno il nome a questa regione e un senso alla mia presenza qui. Le Black Hills. Territorio della fiera tribù Lakota. A presto.


DAG