mercoledì 9 aprile 2008

Il maître d'hotel

Il Laos, che in realtà si chiama Lao, senza la "s" in fondo, è uno dei paesi più isolati e forse meno visitati rispetto agli altri del sud est asiatico. La Repubblica Democratica del Popolo del Lao, questo il suo nome completo, ha una popolazione che non supera i sette milioni di abitanti e ha un regime socialista moderato, che ha aperto sì al capitalismo, ma con alcune riserve. In Lao non troverete McDonald's o Starbuck's. In Lao molte persone girano con la maglietta di Che Guevara, i pochi che possiedono un'automobile o un fuoristrada ci tengono ad avere sulle fiancate l'effigie del Che oppure di Lenin. Meglio se tutti e due. Alcuni Laotiani parlano spagnolo perché hanno vissuto qualche anno a Cuba, che ha un governo simpatizzante con il governo del Lao, e molti sono quelli che parlano francese. I cartelli e le indicazioni sono in laotiano e in francese, per via della colonizzazione.
Ma i veri protagonisti della vita in Lao non sono gli uomini, sono gli animali. Noto come la terra dal "milione di elefanti", non passa ora senza che il mio amico Jun (questo il nome del pugile giapponese con cui sto viaggiando) ed io non ci fermiamo di fronte ad un lucertolone, o a qualche ragno enorme.
Ieri sera dopo cena abbiamo fatto una passeggiata lungo la via principale del paese (eravamo nel villaggio di Thakhet, nel Lao centrale) e per mezzo metro non andavo a mettere un piede sopra uno scorpione di dodici centimetri che stava fermo a lato della strada. Considerando che giro con le ciabattine (fa un caldo inimmaginabile) camminargli sopra non sarebbe stata un'ottima idea.
Oggi qualcosa mi ha punto sul collo, mentre andavamo col tuc tuc alla stazione degli autobus. Tamponato subito con l'ammoniaca, il dolore è cessato poco dopo, ma i primi istanti era davvero acuto.
Questa sera, dopo una lunga passeggiata nel villaggio di Savannaketh, dove siamo arrivati a metà pomeriggio, entrando nel bagno della mia stanza ho notato, ancora prima di accendere la luce, che c'era qualcosa di strano nella tazza del cesso. Accesa la luce mi sono trovato due occhioni che mi guardavano imploranti: un rospo vi era finito dentro non so come e non riusciva ad uscire dal water. Scivolava, povero. Aiutato con una ciabatta, gli ho messo una bacinella d'acqua sotto il lavandino e ho deciso di adottarlo. Mangerà un po' di zanzare.
Tanto è caotica e frenetica la vita a Bangkok, tanto in Lao i ritmi sono lenti e cadenzati. Quasi tutte le cittadine (Vientiane, la capitale, è poco più che un paesotto) sono cresciute lungo il Mekong. La sponda ovest del fiume, di notte, è piena di luci multicolori. Quella è la Thailandia. Molti laotiani vorrebbero andarvi a vivere, ma si lamentano che passare il confine non è facile. Siamo in una sorta di Tijuana dell'Asia, anche se molto meno pericolosa.
Le condizioni igieniche sono precarie, c'è poco da fidarsi a mangiar carne in giro, anche perché qui non c'è la cultura dei banchini per le strade, i laotiani mangiano in casa, quindi il ricambio del cibo non è così frequente. Scegliamo i ristoranti (se ristoranti si possono chiamare) a naso, ci mancano elementi per valutare davvero cosa è buono e cosa no. Stessa cosa per le guesthouses. Arrivati a Thakhet, per esempio, non sapevamo letteralmente dove andare a dormire. La guida giapponese di Jun indicava tre posti. Due introvabili, uno in costruzione. Arriviamo in un terreno circondato da siepi, con una baracca all'ingresso. Il cartello dice "GUESSHOUSE". Infatti, mi dico. Indovina dov'è l'albergo...
Le stanze non sono poi così malvage, il costo è esorbitante: dieci dollari! Ma non abbiamo scelta. L'Andrea rompipalle comincia a farsi sentire: non è giusto che non ci sia scelta e che non ci facciano nemmeno un barlume di sconto: devo trovare un inghippo. Dieci dollari sono troppi, il mio budget per il Lao è di venti dollari al giorno, imprevisti inclusi!
Nel farmi la doccia scopro che non c'è acqua calda, come promesso dal ragazzo che ci ha registrato. Ecco l'inghippo! Vado e faccio presente la cosa, il ragazzo mi dice che sta arrivando il manager d'hotel. Abbastanza incredulo, sono contento che si stia per palesare una figura professionalmente accreditata con cui relazionarmi. Già pregusto il duello verbale con il maître per ottenere lo sconto.
Il ragazzo mi dice che il maître d'hotel è arrivato. In effetti un motorino tutto scassato si è appena spento davanti all'entrata della baracca. Fa il suo ingresso un tizio dalla camicia lurida, che inciampa, perde una ciabatta e mentre se la rinfila mi guarda in faccia e mi fa un rutto.
Ok, ha già vinto lui, niente duello verbale, immagino. Tutto ha un limite.

DAG

1 commento:

Anonimo ha detto...

...niente duello verbale, anche se l'acqua è fredda, tanto fa caldo, no?e magari è già una fortuna che ci sia...ciao