martedì 20 maggio 2008

63_Spontanei ma impenetrabili.

Adesso che ho arrestato per un po' il mio continuo movimento da un posto all'altro e che mi sono fermato qui a Saigòn ho modo di osservare alcune cose a fondo, in particolare quello che mi interessa maggiormente, ovvero lo svolgersi della vita quotidiana e il tessuto che la regola: le relazioni sociali.
Innanzitutto devo ammettere che non mi è chiaro come mai il Vietnam, in particolare Ho Chi Minh City (Saigòn), sia un posto in cui mi trovo tanto bene. Forse è la vitalità che anima la gente e le strade. Forse è il modo che hanno i vietnamiti di essere schietti e diretti. Ogni giorno assisto a qualche episodio (o ne faccio parte) che mi fa capire qualche cosa di più su questa popolazione e che mi stupisce. La mancanza di machismo (che non vuol dire che non ci sia discriminazione tra maschi e femmine) qui è diffusa come negli altri stati del sud est asiatico, ma tutti, sia maschi che femmine, sono un po' più rustici, meno cerimoniosi che nelle altre nazioni del circondario. E lo sanno. Uno dei due vecchietti con cui l'altro giorno ho avuto la fortuna di conversare mi ha detto: "Noi qui siamo pratici, i laotiani invece sono delle persone molto dolci". Ed è vero, ma questo aggettivo mi ha colpito, non mi aspettavo che venisse usato anche qui, da un vecchio vietnamita, specie se riferito ad un altro popolo. E' una cosa che può dire una qualsiasi ragazza che estasiata torna in America dopo un viaggio in Asia: "Oh, i laotiani... sono così dolci!"
Non so, dicevo, cosa mi piaccia di preciso del Vietnam. Sicuramente uno spiraglio di possibilità di lavorare me lo rende molto, molto interessante. Ma credo che l'aspetto speciale siano davvero le relazioni fra gli individui. Ho avuto modo, durante questo mio viaggio, di parlare con tanti viaggiatori che avevano pessimi ricordi del Vietnam e dei vietnamiti. Causa dell'attaccamento esasperato ai soldi e dal continuo martellare dei venditori. Non dico che non sia così e qualche fregatura me la sono presa anche io, ma dopo un po' si impara a trattare e ci si fa lo scudo.
Mai mangiare o bere qualcosa o accettare un passaggio (sia in moto che in taxi) senza aver prima contrattato la cifra. Pagherete tutto almeno il doppio. E litigare con i vietnamiti è sconsigliabile, come insegnano un po' di nazioni occidentali.
Stamattina però, a smentire la rusticità di alcuni vietnamiti, mi è successo un fatto curioso. Sono entrato in un bar, un bar a me nuovo, visto che qui ce ne sono tanti e ho deciso di provare tutti quelli che mi attirano; volevo prendere un caffè, un semplicissimo caffè vietnamita, di quelli col filtro sulla tazzina, che cola piano piano, forte e bollente. Sembrava che avessero solo caffè con ghiaccio. Non riuscivo a farmi capire. Un signore al tavolo affianco si è preso a cuore la mia situazione e, messo da parte il giornale che stava leggendo, ha telefonato a qualcuno con il suo cellulare. Poi mi ha appoggiato il telefono all'orecchio e una voce femminile mi ha chiesto, in anglo-vietnamita: "Cosa vuoi?" - "Un caffè, ma caldo, non col ghiaccio, per favore" ho risposto subito. "Ok, ok" ha detto la vocina di donna dall'altra parte. Ho ridato il telefono al mio vicino di tavolo che si è messo a parlare in modo concitato per dare ordini alla padrona del bar.
Ci siamo guardati tutti e tre in faccia, mentre ringraziavo tutti e ci siamo messi a ridere. La situazione è stata risolta in un modo anomalo e buffo, ma anche molto semplice e diretto. Tra l'altro il caffè che mi è arrivato era molto buono, proprio come lo volevo io.
I vietnamiti mi sembrano un popolo molto candido. Lo stile di vita qui implica molte responsabilità da parte di ognuno, sia grande che bambino. Mi spiego meglio, con alcuni esempi. In caso di incidente stradale chi sbaglia paga e l'assicurazione è obbligatoria, ma le regole del traffico sono perennemente trasgredite, vale la strada più breve e veloce, che sia tagliando curve, contromano o schivando gli altri motorini spesso per meno di un millimetro. La trasgressione è comunemente accettata e nessuno si scandalizza se, per esempio, andiamo contromano. Semplicemente tutti suonano il clacson per avvisarci che stanno arrivando. Possiamo trasportare carichi sporgenti, ma se causiamo un incidente siamo noi a pagare. L'altro giorno un signore ha caricato un frigorifero sul motorino ed è partito come se si trattasse della cosa più normale del mondo. Un frigorifero! Vi immaginate cosa succede se cade addosso a qualche anziana donna che va, chessò io, in bici?
I bambini imparano sin da piccoli che possono giocare per strada, ma che può essere pericoloso. Non sono così tutelati come da noi. Mi sembrano tutti molto più svegli.
No, scusate.
Lo sono.
La libertà personale è, nelle piccole cose quotidiane, molto più alta che negli stati occidentali. Vogliamo far da mangiare e venderlo per strada? Possiamo farlo, non occorre nessuna licenza. La gente deciderà il nostro successo o il nostro fallimento. Ecco perché è raro trovare cibo avariato, non per una questione di responsabilità legale, ma perché non rende. Penso a tutte le autorizzazioni necessarie nel mondo "civile". A chi rendono? Allungano una strada che potrebbe essere più semplice e fornire un regime di concorrenza vera, tutto a vantaggio del consumatore. Qui, l'ho già detto, si cena con meno di un dollaro.
I marciapiedi e i locali vietnamiti, quando non sono lasciati a cemento grezzo o asfalto, sono piastrellati con ceramiche lucide, che diventano scivolosissime quando il pavimento è bagnato. Ora, a Saigon, o qui o là, c'è sempre un po' d'acqua per terra. Semplicemente stai attento e cerchi di non cadere. Penso agli Stati Uniti che devono tenere sempre in bella vista l'orrendo segnale giallo "Attenzione, pavimento bagnato" (adesso anche in due lingue, inglese e ispanico) altrimenti qualcuno potrebbe cadere e far causa al locale. Attenzione, non farsi male, ma far causa al locale. Cari americani, avete dato agli avvocati il potere di fare il bello e il cattivo tempo con le leggi e di piegare le regole a favore dei privati per far soldi intentando cause artificiose contro chicchessia? E adesso vi beccate i cartelli gialli che deturpano l'estetica del vostro locale. C.Y.A. law, le chiama Warren, queste leggi (Cover Your Ass Law). Fatte apparentemente per proteggere i cittadini, in realtà per pararsi il culo dalle cause legali, come l'avviso che il fumo fa male sui pacchetti di sigarette.
Il tragico è che stiamo imboccando anche noi la stessa strada. La strada su cui il terrorismo attecchisce meglio.
Ma non voglio fare polemica qui e adesso, non c'entra molto e poi sarebbe un discorso molto lungo.
Un altro aspetto che caratterizza le relazioni sociali e le differenzia da quello a cui siamo abituati noi è l'imperscrutabilità dei volti.
Immaginiamo un ingorgo nel traffico di Milano: facce distorte dagli insulti sottovetro, mani che pestano sui clacson, occhiatacce, alzar di voci, magari gestacci, guance accaldate e paonazze dall'ira.
Qui no. Qui, dove l'ingorgo è perenne e mostruoso, suonano tutti il clacson, ma non si riesce mai a capire chi è stato, perché la faccia non cambia. Agli incroci o alle rotonde tagliare la strada al vicino è la regola, meglio se riusciamo anche a stringerlo contro il marciapiede o contro un camion che sopraggiunge da un'altra direzione. Il malcapitato o la malcapitata (non c'è galanteria nel traffico di Saigòn) sarà costretto a frenare bruscamente, ma senza tradire emozione alcuna. Scendere dal marciapiede col motore acceso e buttarsi a casaccio nel flusso degli altri motorini causando uno sbandamento generale e parecchie inchiodate è considerato normale, meglio se fatto senza guardare. Nel traffico bisogna schivare gli altri, le buche per terra, cercare di passare davanti infilandosi nel minimo spiraglio disponibile. Chiaro che il semaforo rosso diventa un'opzione da considerare solo di rado. Ogni tanto qualcuno ci viene addosso, Phùc ed io (Phùc è il mio driver ufficiale e traduttore qui a Saigòn, uno studente di buona famiglia che mi accompagna agli appuntamenti di lavoro, mi fa da interprete e mi consiglia su come muovermi con i businessman vietnamiti e con i vietnamiti in genere) veniamo scossi da un urtone. Qualcuno ci è appena venuto addosso. A meno di non avere danni, nessuno fa una piega. Nel senso che si continua nel traffico come se niente fosse. La velocità generale, c'è da dirlo, è molto molto bassa.
Sembrano imperturbabili, eppure notano tutto. Nessuno incontra gli occhi degli altri, ma tutti si tengono sott'occhio. I venditori per strada ci chiamano in continuazione per proporci chi un passaggio in moto, chi di lustrarci le scarpe, chi di comprare lo zippo appartenuto al soldato americano (ma quanti zippo aveva ogni soldato!?!? I venditori di zippo sono migliaia! Saran mica falsi!?) chi di farci fare un massaggio in qualche centro di lussuria oppure ci vuol vendere marijuana o oppio. La modalità del richiamo è varia: si passa dal classico "Hey, mister!" al più rustico "Ué!" al batter di mani. Alcuni addirittura mandano un bacino. Sì, un bacino verso di noi, "Smack!". Se noi li guardiamo negli occhi e diciamo "No, grazie" per loro è come se avessimo detto sì, perché abbiamo incrociato il loro sguardo, quindi vengono lì e insistono. A quel punto molti turisti si esasperano e diventano bruschi o offensivi. Se noi invece, senza guardarli né minimamente girare la testa o fare un movimento in più, appena sentiamo il richiamo al nostro indirizzo agitiamo leggermente la mano e facciamo un battito di palpebre, gli abbiamo detto di no in modo molto più efficace e non offensivo.
L'altro giorno ero con Phùc in libreria, a consultare alcune riviste di arredamento e a farmi indicare le case editrici. Ad un certo punto mi dice: "Guarda, ti sei comprato i pantaloni e la camicia eleganti, per fare il tuo business, ma tutti notano le tue scarpe. Non va bene che tu abbia le ciabatte, non è perfetto. Ci vogliono le scarpe giuste." - "Ma Phùc, tutti vanno in giro in ciabatte! E poi io non ho visto nessuno che mi guardava i piedi!" - "Se vuoi essere perfetto agli appuntamenti devi avere le scarpe chiuse, non le flìp - flàp." Mi ha detto senza scomporsi. "E poi tu non vedi gli sguardi della gente perché non sei di qui, ma ti notano tutti".
Urca.
Mi son sentito con le braghe calate.
"Phùc, non ho voglia di spendere altri soldi anche per le scarpe, e poi non ho più spazio in valigia." - "Non hai un paio di scarpe chiuse?" mi dice sempre senza mutare espressione e guardando in basso, verso uno scaffale "Sì, ma sono scarpe da ginnastica!" - "Va bene, metti quelle" - "Ma Phùc, sono GIALLE!!!" - Sempre rivolto allo scaffale, ha chiuso gli occhi per un secondo, come per avvisarmi della sentenza finale, poi ha detto: "Giallo va bene". E ha concluso il discorso.
Giallo va bene.

DAG

2 commenti:

Gualtiero 'BigG' Tronconi ha detto...

E pensare che io ho sempre bistrattato le tue scarpe gialle prendendoti per il culo...
Vedi che non capisco proprio nulla di moda...

;-)

BigG

Anonimo ha detto...

non ti senti un pò papera?