sabato 3 maggio 2008

Hirudo medicinalis.

Assieme ad Enrico ho incontrato anche un gruppo di ragazzi provenienti dalla Spagna. Una coppia, lei spagnola e lui vicentino trapiantato (lavorano come camerieri solo per mettere via i soldi per viaggiare) e un tedesco fuggito nel sud della Spagna vent'anni fa, di nome Haiko, capelli lunghi e occhi azzurrissimi, aria da rifugiato.
L'allegra comitiva, costituita da cinque personaggi (la libraia taiwanese è partita per un trekking di due giorni sulle montagne) ha pensato bene di darsi un'organizzazione "ispanica" per dare un senso al proprio soggiorno nel villaggio isolato di Muong Ngoi. La regola è: "Ci vediamo da qualche parte a qualche ora". Il villaggio ha una strada sola, quindi non è un'impresa incontrarsi.
Ci troviamo spesso alla terrazza di Enrico e Haiko. Quello è il nostro covo. La padrona della guesthouse, che tutti chiamano "mama" ci porta, ciondolando, da mangiare o le birre mentre noi, al riparo dalla pioggia scrosciante che è arrivata col monsone, passiamo ore a chiacchierare un po' in tutte le lingue, bevendo birra e fumando le sigarette che fanno ridere.
Il primo giorno siamo andati a fare trekking: un sentiero porta prima alle grotte, poi ad un villaggio ancora più isolato del nostro, in cui pochissimi sono i turisti perché ci si arriva dopo due ore di cammino sotto il sole. Ma le guesthouses sono le più economiche che io abbia mai incontrato: cinquemila kip, ovvero cinquanta centesimi di euro. Per dormire una notte.
Contenti e soddisfatti del primo esperimento di trekking, decidiamo di andare, il giorno seguente, alla ricerca delle altre grotte di cui abbiamo sentito parlare, dall'altra parte del fiume.
Il primo ostacolo si pone subito davanti a noi in modo ovvio: come attraversare il fiume? Un fiume che non ha ponti ed è troppo profondo per essere guadato, soprattutto da chi come noi ha le macchine fotografiche al collo, un fiume percorso da una canoa ogni tanto, primitivo e selvaggio. Dall'altra parte del fiume non ci sono tracce umane, solo boscaglia che diventa foresta fittissima e disabitata. Gli argini color terra ogni tanto si interrompono per formare brevi spiagge, bianche ed assolate.
Fermiamo una barca passeggeri vuota che passava in quel momento, ci facciamo capire a gesti e il pilota ci porta di là dal fiume. Dice che non vuole soldi, ma gli diamo lo stesso mille kip a testa per ringraziarlo. Ci saluta felice e se ne va.
Siamo dall'altra parte ora e cerchiamo un percorso, un sentiero. Io ho il mio bastone da trekking, prezioso per attraversare i rigagnoli senza cadere e scostare la vegetazione spinosa. Sto davanti al gruppo per un po', finché non mi incastro completamente nei cespugli e decido che non c'è strada. Del resto non sappiamo nemmeno dove siano esattamente le grotte che stiamo cercando. Facciamo marcia indietro, mettendoci a ragionare ognuno ad alta voce, tutti in spagnolo, per decidere il da farsi. Adesso guida Haiko, il tedesco spagnolo, che sembra procedere più spedito nel folto dei cespugli.
Enrico ad un certo punto ci dice: "Guardate che stanotte ha piovuto, potrebbero esserci delle sanguisughe". Allo stesso momento capiamo che non c'è speranza di avanzare nella vegetazione, facciamo dietrofront. La ragazza dello spagnolo-vicentino si accorge disgustata di avere due sanguisughe attaccate ad un piede. Poi un'altra e un'altra ancora. Io non ne avevo mai viste, e sono rimasto a guardare un po' schifato questi esseri che si agitavano attaccati alle sue caviglie e lei che non riusciva a staccarli. Poi mi sono accorto che alcune si erano attaccate anche a me. Per fortuna non mi avevano bucato, ma erano dappertutto: sulle scarpe, sulle calze, in pochi secondi si erano infilate dentro alle scarpe e non accennavano a staccarsi.
La sanguisuga (Hirudo medicinalis) è uno degli animali più orrendi e schifosi che popolano la terra. Ha un olfatto evolutissimo e fiuta il sangue a distanza, si muove velocemente facendo ponte tra la testa e il sedere, arcuando e distendendo il suo corpo di vermiciattolo ad anelli, ed è in grado di scatenare le paranoie più ancestrali: ostinata fino alla morte, non molla il colpo finché non viene staccata, se schiacciata a terra si appiattisce e dopo un po', ripresa la forma originale, si dirige nuovamente e spudoratamente verso di noi. Per succhiare il nostro sangue. Sembra invincibile. Nuota perfettamente ed è in grado di stare molto tempo aspettando la propria vittima senza mangiare. Quando si attacca emette due sostanze: un anticoagulante ed un anestetico. Grazie all'anestetico non ci si accorge di avercela addosso. E' in grado di gonfiarsi esageratamente del sangue della propria vittima. Solo il fuoco la uccide.
Ne eravamo pieni. Tutta la distesa di vegetazione che copriva il terreno, bagnata dalle piogge notturne, ci pareva popolata da questi ributtanti e ostinati esserini. Fuggiamo verso una spiaggia, dopo aver deciso che le grotte non ci interessavano più tanto. Rimasti un po' sulla spiaggia assolata e accertato che lì le sanguisughe non sarebbero arrivate a darci noia, comincia a porsi il problema di come fare ritorno al villaggio, dall'altra parte del fiume. Un gruppo di bufali ci guarda incuriosito poco distante.
Riusciamo a chiamare una barca dalla nostra parte del fiume, e chiediamo all'omino quanto vuole. La nostra posizione è debole per contrattare, ed il barcarolo ci chiede una cifra spropositata per un tragitto di tre minuti al massimo, con una barca a motore. Cinquemila kip a testa. Cinquanta centesimi.
Spudorato come una sanguisuga!
Scandalizzati, gli diciamo che vuole decisamente troppo, e decidiamo di mandare sulla barca solo la ragazza che era con noi. Le affidiamo tutti i nostri averi e i nostri vestiti.
Rimasti in mutande non ci resta che una soluzione: attraversare il fiume a nuoto.
Arrivammo stanchi ma felici, come si scriveva nei temi alle elementari.

DAG

Nessun commento: