sabato 3 maggio 2008

Parlo italiano!

Partire da Luang Prabang ha significato per me darmi uno scrollone e ricominciare a viaggiare con la voglia di farlo. Ero arrivato in città con la luna storta, e chi mi conosce sa quanto io possa vedere tutto nero quando ho la luna storta. Forse vedere tutti quei negozi così perfetti, quei ristoranti così artificialmente caratteristici, queste bottegucce finte e a misura di turista mi avevano messo di cattivo umore. Forse era anche la stanchezza accumulata dopo due notti in pullman. Fatto sta che, salutate le ragazzotte finlandesi, bruttine ma davvero simpatiche, mi sono intrufolato in un minivan con altri turisti e sono partito per il nord. Durante il tragitto, durato circa tre ore, nessuno ha parlato, non perché non ci fosse nulla da dire o per mancanza di confidenza, ma perché il furgoncino aveva gli ammortizzatori rotti e c'era il rischio, con tutte le buche, di spaccarsi i denti o mordersi la lingua. Quindi tutti a bocca serrata fino all'arrivo. La corsa è terminata a Nong Kiaw, un villaggio sul fiume Nam Ou. La barca che mi porterà al villaggio successivo, Muong Ngoi, partirà alle due. Nel frattempo decido di mangiare qualcosa al posto poco distante, lasciando ben in vista la mia valigia. Al mio tavolo, scesa dal mio stesso minivan, siede anche una ragazza asiatica, molto taciturna, con gli occhiali ed una camicetta azzurra. Ci presentiamo. Lei è di Taiwan, fa la libraia e si chiama Sling Ping.
Cerco di restare serio quando mi dice come si chiama...
Siamo entrambi diretti al primitivo villaggio di Muong Ngoi, dove staremo qualche giorno. La libraia taiwanese sarà una presenza silenziosa e costante, molto educata come quasi tutti gli asiatici, durante questi giorni al villaggio. Non so cos'è, ma devo suscitare nei viaggiatori asiatici di Giappone, Taiwan e Corea un senso di fiducia, forse li metto a loro agio. Sling Ping, la libraia taiwanese, non fa eccezione. Ci incontriamo alla mattina fuori dai rispettivi bungalows, ci salutiamo cerimoniosamente, andiamo a fare colazione e poi ognuno organizza la propria giornata. Spesso me la ritrovo di fianco mentre passeggio per il villaggio a fare foto. Fa foto anche lei. La sera, al momento di andare a letto, ci salutiamo rispettosamente con un inchino e ci auguriamo la buona notte. Nessuna tentazione, la libraia taiwanese è una cara persona, ma assomiglia tremendamente al mio amico Pol.
Invece una presenza davvero felice è arrivata a dare man forte al mio entusiasmo nel viaggiare (casomai ce ne fosse bisogno).
Sulla barchetta stracolma di gente che andava verso nord, lungo il fiume Nam Ou ho incontrato un italiano. Più di un mese è passato dall'ultima volta che ho parlato italiano per un po' con qualcuno, ed ero negli Stati Uniti.
Mi sono esaltato all'idea di poter parlare nuovamente italiano. Enrico, questo il nome del ragazzo incontrato, sta viaggiando da solo. E' di Milano e fa, anzi, faceva, il consulente finanziario in banca. Il suo progetto è quello di stare via per un po', un anno, un anno e mezzo almeno. Anche se ha trent'anni ha già viaggiato tanto, davvero tanto, rispetto a me e a molti che ho incontrato. Si è fatto il Marocco in motorino, arrivando nel sud fino al confine con la Mauritania e vivendo con le famiglie, ha viaggiato per un anno in India e Nepal, Ha visto l'Australia e altri posti lontani che adesso non ricordo. Ne ha viste di tutti i colori, o quasi, ed è una persona entusiasta ma non è un ingenuo. Quando ha finito i soldi o si è stancato torna in Italia e ricomincia a fare il consulente finanziario. Finora lo hanno sempre assunto, lui dice che è un lavoro palloso ma richiesto. A vederlo sembra che si sia appena tolto giacca e cravatta: capelli in ordine, pizzetto curato, occhiali da ufficio. E', e non potrebbe essere altrimenti per i miei gusti, un bravo ragazzo, educato. In pochi giorni abbiamo legato, scoprendo di avere in molti casi gusti simili. Suona la chitarra ed è dello scorpione. A me fa ridere l'immagine dell'impiegato di banca milanese che molla tutto e scappa per fare un viaggio in posti selvaggi come il Lao, ma lui non ha intenzione di fare quello che viaggia a vita. Parlando è venuto fuori che tutti e due proviamo un po' di tristezza verso quegli uomini intorno ai cinquanta che vedi ogni tanto soli al ristorante in questi posti, la pelle bruciata dal sole dei tropici e gli occhi pieni di rughe. Personaggi che sicuramente hanno avuto una vita avventurosa, che hanno viaggiato tantissimo, "ma con cui non farei a cambio", ci siamo detti quasi in coro. Forse, abbiamo concluso, perché veniamo da una cultura come quella italiana, che vede nel formare una famiglia uno degli obiettivi auspicabili per ogni individuo.
(...)
Se può essere una bella sfida viaggiare da solo e ogni tanto provare il brivido di essere l'unico in cui riporre fiducia, evitando quasi il contatto con gli altri viaggiatori, sembra a volte che questi "viaggiatori fuori corso" vengano tenuti lontani dai gruppi dei ragazzotti in viaggio come me.
Sì, mi do del ragazzotto quando ho quasi quarant'anni, lo so. Fa niente.

DAG

1 commento:

Unknown ha detto...

per scegliere l'amore, prima devi avere la fortuna di trovarlo.
e la fortuna, come ben sappiamo, non si lascia influenzare dai nostri stupidi e macchinosi tentativi di costruirci un futuro programmato.
ma l'amore per sè stessi sì, si può scegliere. e una famiglia monocomposta è pur sempre una famiglia.
famiglia pao