sabato 3 maggio 2008

La barca mancata.

L'antica capitale del Lao era Luang Prabang, una città ricchissima di pagode, templi e monumenti di grande importanza storica. Si può arrivare a Luang Prabang con l'aereo, con la barca oppure con il bus. Se, come nel mio caso, vi trovate a dodici ore di distanza via terra, vi conviene prendere l'ultimo autobus, la nottata è un po' scomoda, ma risparmiate una notte in albergo e vi troverete la mattina dopo già sul posto, dopo svariate ore di tornanti. Se, sempre come nel mio caso, di nottata nel bus ne avete appena trascorsa una, senza potervi lavare e senza poter mai abbandonare i bagagli durante il giorno, la seconda nottata proverete sulla vostra pelle che è vero che l'essere umano si può adattare a qualsiasi cosa. Due notti e un giorno con un caldo terribile, senza mai potersi cambiare i vestiti, (braghette e maglietta, con camicia di rinforzo contro l'aria condizionata degli autobus) senza mai potersi lavare i denti, mangiando con attenzione e bevendo l'acqua della bottiglia che diventa calda dopo mezz'ora (la temperatura è costantemente al di sopra dei 40 gradi) mi hanno reso una specie di puzzola con le ciabatte, con due piedi neri degni di un homeless e uno strato di polvere color terra che mi ricopre interamente.
Cosa mi ha spinto a fare due notti in pullman, attraversando il paese in fretta e furia, pur di arrivare a Luang Prabang il più rapidamente possibile? Non lo so.
Una specie di inquietudine, una voglia di cambiare aria per vedere una parte nuova del paese.
Inizialmente il programma di viaggio era diverso: una volta arrivato a Vientiane, a metà strada tra il sud e il nord del paese, volevo imbarcarmi sul battello che risale il Mekong e arriva all'antica capitale, che è a nord, dopo un giorno ed una notte di avventurosa navigazione sul fiume.
Nell'intera Vientiane, la capitale, non esiste nessuno che mi sappia dire qualcosa di concreto sul battello che risale il Mekong. Eppure Alessandro, un ragazzo toscano che avevo incontrato in Vietnam, mi ha scritto una mail dicendomi: se puoi prendi la barca, è meraviglioso!
Le agenzie di viaggio, in grado di procurare biglietti per ogni dove da qualsiasi punto del paese, vagolano nel buio dell'incertezza di fronte alle mie richieste di informazioni. Uno addirittura mi ha fatto arrabbiare. "Non esiste nessuna barca sul Mekong". Gli ho detto che un mio amico un mese prima ci era salito e mi ha risposto: "Mi spiace, ma il tuo amico non è corretto con te". "Eh già", gli ho detto, "forse si è sbagliato. O forse si droga?!" "Può essere" mi ha risposto, sinceramente preoccupato. Fantastico.
Alla fine scopro che la barca, detta slow boat (che vi fa immaginare cosa dev'essere, in una nazione in cui il limite di velocità nei centri urbani è trenta all'ora) parte da un villaggio a quindici chilometri dalla città. Chiedo se è possibile telefonare alla compagnia della slow boat, visto che nessuno sa niente. La compagnia non ha telefono. Praticamente non c'è. Un omino raccoglie i soldi prima che la barca parta e ti lascia passare. Altri omini guidano la barca. Quella è la compagnia della slow boat. Nessuno sa quando parte la barca, alcuni mi dicono la mattina presto. Altri cercano di essere più precisi: la mattina molto presto.
Prendo un tuc tuc dopo una contrattazione selvaggia e mi faccio portare al villaggio da cui parte la barca fantasma. Ho con me tutti i miei averi, valigia, zaino e la mitica borsa coi cagnolini.

Il villaggio coincide con l'imbarcadero, uno spiazzo assolato con cani randagi e pulciosi, un baraccotto con dentro un funzionario sonnacchioso che a qualsiasi mia domanda risponde "No" e due poliziotte nella tipica divisa verde laotiana. Dico al funzionario che vado in fondo al piazzale per chiedere informazioni, faccio cenno alle mie valigie, dicendogli: "Le lascio lì, posso?" "No". "Ok, grazie". Le lascio lo stesso e mi avvio. Le due poliziotte mi si avvicinano, sorridenti. Noto che sono più giovani di me. Una mi chiede in un inglese traballante se mi possono aiutare, le spiego che volevo prendere la prima slow boat per andare a nord e loro mi spiegano che quella di oggi era già partita la mattina molto presto "Quando?" cerco di indagare io e lei mi risponde "Si" (è una congiura?) e poi mi fa capire che la barca non ci sarà neanche l'indomani perché è domenica. Inoltre la barca non arriva a Luang Prabang, ma fino ad un altra città e poi devo prendere il bus. Quanto è distante questa città da Luang Prabang? "Non lo so". Chiedo se nell'ufficio della polizia lì vicino, in cui loro lavorano, c'è una mappa del Lao." No", mi rispondono. "Non ce l'abbiamo, ci dispiace". Sulla mia mappa questa città non è segnata. Praticamente dovrei passare un giorno e due notti in questa gabbia di matti che è il villaggio-imbarcadero, per prendere un battello che non so quando parte e dove arriva.
La poliziotta con cui parlo nota il mio dispiacere, mi guarda negli occhi e sembra capire, poi furtivamente mi indica un gruppo di persone in fondo al piazzale e se ne va agitando la mano a significare: "Io non ti ho detto niente".
Mentre mi dirigo verso il drappello di malconci figuri in fondo al piazzale qualcosa mi suona strano, non sembrano i soliti laotiani. Mi giro e dò un'occhiata alle valigie. Sono ancora là, di fianco al baraccotto di mister No.
Il gruppo a cui mi avvicino gioca rumorosamente intorno ad un tavolo. Chi è a torso nudo sfoggia tatuaggi che ricoprono mezza schiena, o un braccio intero. Capelli lunghi e risate sguaiate. Stanno giocando ad una specie di dama. Le pedine sono tappi di birra Lao, mazzette di banconote sono appoggiate di fianco alla scacchiera.
Qualcuno mi nota, individuo subito il capo della banda, canottiera gialla, cappellino da baseball e sigaretta in mano. Lo saluto in laotiano: "Sabaidee", molto educatamente. Tutti o quasi ridono, alcuni ripetendo "Sabaidee!" in tono canzonatorio. Contrabbandieri. Gente che fa la spola tra la Thailandia e il Lao portando di tutto, compresi oppio e marijuhana (assolutamente vietati in Thailandia) ma che qui viene offerta per le strade, gente che ha messo in piedi un sistema di trasporto alternativo e molto lucroso: la speed boat.

Sulla Lonely Planet, come su molte altre guide, viene detto chiaramente: se prendete la speed boat lo fate esclusivamente a vostro rischio e pericolo. In Lao ultimamente la speed boat è stata vietata. Troppi morti, e quando i morti sono turisti stranieri meglio essere drastici. Le acque del Mekong sono piene di tronchi vaganti e di rocce che affiorano, soprattutto in questa stagione, in cui il fiume è ai livelli minimi. Urtare un tronco o una roccia alla velocità della speed boat significa schizzare per aria e lasciarci le penne.
Per darvi un'idea del mezzo: Io sarei arrivato percorrendo il Mekong solo fino a metà strada in un giorno e una notte. La speed boat mi avrebbe portato a destinazione completa, Luang Prabang, in tre ore.
Rinforzo il concetto: in un paese in cui il casco non è obbligatorio, neanche sulle moto più grosse, i piloti delle speed boat fanno indossare il casco integrale ad ognuno dei passeggeri. Durante le tre ore di "navigazione" non ci si ferma mai, non si può sollevare la testa perché si viaggia sdraiati a pancia in giù e i bagagli fanno da ammortizzatori tra i passeggeri e il fondo della barca. Del missile, anzi.
Ho chiesto al capo della banda quanto mi sarebbe costato, giusto per curiosità. Ha scarabocchiato qualcosa su un foglio poi me lo ha passato. 400 dollari. "EEEH?" Mi son messo a ridere. "Con 400 dollari ti compro la barca!" gli ho risposto. "Non credo" mi ha detto lui piantato di fronte a me a gambe larghe, mento all'insù e occhi a fessura. "Fammela vedere" gli ho detto io, in tono di sfida e aggiungendo un rutto, così, per facilitare la comunicazione e metterlo a suo agio.
Si è sporto dalla balaustra in bambù e ha guardato in basso, invitandomi a fare lo stesso.
Sono rimasto senza parole. Una scheggia, larga non più di cinquanta centimetri, era ormeggiata sotto di me, al riparo di alcuni cespugli. La scheggia sarà stata lunga quattro metri, e terminava con una punta lunga e acuta. A poppa, circondato da un groviglio di tubature e cavi, un mostruoso motore assolutamente sproporzionato sembrava essere stato posato sulla esile imbarcazione quasi per scherzo, più per farla affondare che per muoverla. La poppa della speed boat è sotto il livello dell'acqua, quando la barca è ferma, per il peso del motore. Sembrava la cosa più lontana dal concetto di barca che io avessi mai visto.
Mai e poi mai mi affiderei ad una cosa del genere.
Non fatelo, se dovesse capitarvi l'occasione, anche perché in questo modo si perderebbe il piacere di vedere il paese dal punto di vista di chi naviga il fiume. Dalla speed boat non ci si gode certo il paesaggio!
Ripresi i bagagli, sono andato alla stazione degli autobus, e mi son rassegnato ad arrivare a Luang Prabang via terra.
Ieri, con un banale tour organizzato, sono andato a vedere le grotte "dei seimila Buddha" sul Mekong. Da bravi turisti si prende la barchetta e si va verso le grotte in un'ora di sonnolenta navigazione, col motore che borbotta. Ad un certo punto un urlo lontano ha fatto voltare tutti. Tempo di girarsi e l'urlo era già di fianco a noi, un urlo meccanico. Una speed boat ci era appena passata di fianco a tutta velocità. Quando il muro d'acqua sollevato dal motore è ricaduto spruzzandoci tutti la speed boat era già lontana, il folle urlo meccanico la seguiva.

DAG

3 commenti:

Unknown ha detto...

"...mi hanno reso una specie di puzzola con le ciabatte, con due piedi neri degni di un homeless e uno strato di polvere color terra che mi ricopre interamente..."
ecco, il colombiano di ci mi ero innamorata era esattamente così... chissà come ti dona questo look!
pao

Anonimo ha detto...

Sei troppo simpatico! Mi hai fatto morire dal ridere con il tuo racconto. Ero in cerca di info sul Laos e sono capitata nel tuo blog.
Sei forte.
ciao
Ila

DAG_photo ha detto...

Grazie Ila (Ilaria?)!!! Spero che tu riesca a trovare tutte le informazioni che cerchi sul Lao, se hai bisogno ti lascio la mail: andrea.da.gasso@gmail.com